Si descriue lo stato dell'autore, & si raccomanda à sua Maestà.
DOnna, à cui diede il Ciel Reale stato,
Valor, molta virtù, raro, ò non prima
Veduta altra fra noi in questo clima,
Per voi sola hor d'ogn'altro piu beato.
Deh spiri homai da voi 'l benigno fiato
Real parola si, ch'in me s'imprima
Altro, che speme, innanzi 'l tutto opprima
Di me il'crudo Orion d'inuidia armato.
Voi sola in me seren potete, e chiaro
Render l'aer grauato hoggi da nebbia
Noiosa à gli occhi miei, acre, e mordace.
Dch dunque, s'io fui mai grato, nè caro
A vostra Altezza, e' s'à voi ciò si debbia,
Rischiarate 'l mio scur con vostra face.
SONETTO A S. MAESTA.
Questoè tutto in lode delle illustri virtù di sua Maestà.
VErgine saggia, cui donò 'l gouerno
De gli Angli il Cielo, à null'altra seconda,
E'n cui virtù, Giustitia, e Fede abonda,
Onde 'l grido ne và pe 'l mondo eterno.
Mentre piu d'hor in hor la mente interno.
Nel mar de i vostri merti, e la profonda,
Acqua voglio solcar, non veggio sponda,
Ch' ei fin non ha: nèd' io falsò discerno.
Perch' io mia debil barca à vela, e à remi
Guido per l'onde, spinta da quel vento,
Ch'al porto di salute altrui conduce.
Felici quei, che voi Regina, & Duce
Hauran lodata à pien: senza far scemi
I Regij honori, in chiaro, alto concento.
SONETTO A S. MAESTA.
Questo fú già fatto per accompagnar vna pittura di sua Maestà, donatale per Nouell'anno.
COstante, e ferma, su la viua Pietra
Di Christo hoggi sedete; ô Donna eletta:
E la gente di Dio d'altri negletta
Per voi sola rifugio, e pace impetra:
Nè da voi punto si rimóue, ò arretra
Minerua: anzi al ben far sempre v' alletta:
Onde vostra virtù piu vien perfetta,
Quanto dal suo contrario piu si spetra.
Seguite dunque ogn'hor intenta, e accorta:
Donna Real, solo à giouar altrui,
Con Christo Duce, e Pallade compagna:
Senza temer tempesta, se per scorta
Hauete in ogni vostra opera lui:
E s' essa da voi mai non si scompagna.
SONETTO A S. MAESTA.
Questo fú dato à sua Maestà con vna impresa per nouell' anno, quando Spagnoli passarono in Fiandra.
QVesta asta, che dal Ciel par, che s'accenda,
L'elmo lucente, e la corazza fida,
Lo scudo cristallino: onde s'affida
Il meglio, vostra Altezza in dono hor prenda:
Acciò nuoua Minerua armata, renda
Douute à Dio bell' opre: e chi ne sfida
Resti abbattuto: hor Christo è vostra guida,
Per che felicemente si contenda.
Queste armi oprate fur gla contra gli empi:
Ed ella hor ve le dona: onde v'armiate
Ad huopo fra i nemici fieri, e tanti.
Per queste falui fien da i crudi scempi
I popoli Inghilesi: ed annullate
Le forze de gli Enceladi, e Pallanti.
SONETTO A MONS. IL Vidame di Ciartres.
Scritto sopra vn ragionamento hauuto dell' estrattion della Quinta essenza.
QVanto l'animo nostro piu s'innalza,
Signor, à contemplar le cose belle,
Meglio douiam conoscer, che le stelle
Son esse, per cui l'huom s'abbassa, en'alza.
E s'al pronto operar desir c'incalza,
Da speme nato d'incerte nouelle:
Miriam chi meglio sia, che ne fauelle,
Acciò Filosofia non resti scalza.
Quei primi, ch' oprar gia d'intorno à l'arti,
Fur mossi sol dal natural discorso,
O da quel, ch'à Natura piu s'appressa.
Cosi far dee ciascun, ch'i degni parti
Conserua il Cielo al lor debito corso,
Sopra l'oppinion, ch'habbiamo impressa.
SONETTO AL MEDESIMO.
I gentili spiriti poco stimano la differenza, che si conosce esser fra la fortuna, & la virtù.
SE la virtù non fusse alta, e eccellente,
Come ben la conosce la fortuna:
Ella non sosterrebbe ingiuria alcuna
Da questa inuida sempre, e fraudolente.
Nè chi specchio è di lei puro, e lucente
Sarebbe offeso da null' aria bruna:
Ma ogn' hor benigni haurebbe, e Sole, è Luna:
Premio della volgare, e cicca gente.
Ma perch' vna dal ciel nosco discese
Per conseruarci l'alme come pria:
L'altra col corpo nacque ad ingiuriarci:
Segua ciascun la prima ad alte imprese:
E sia quest' altra quanto vuol pur ria,
Non potrà seco mai dimesticarci.
SONETTO.
Il suggetto di questo sonetto è contra le maluage lingue altrui, che soprabbondano piu, che troppo.
CHi guarda l'altrui colpe, e à se non mira,
Bisogna, che sia stolto, od ebbro, ò rio,
Che quel conuien naturalmente à Dio,
Quando sopra di noi guisto s'adira.
Il volgo vil, che ad alto non aspira
Biasma chiunque à Minerua porge fio,
E loda s' alcuno è ver lei restio,
Mentre ei fra i bruti al fango siritira.
Ma l'huom virile à lei sol s'accompagna:
A lei sola vbbidisce, à lei compiace,
E con Mercurio segue la sua strada.
Quei dunque, da cui mai non fi scompagna
Nè quel, nè quella, homai viuino in pace,
Senza curar di quel, che in altri accada.
SONETTO.
Questo seguita il medesimo sugetto, & à i maledici si desiderano pene propie per le loro opere.
ORsi, Tigri, Leon, Pantere, e Pardi,
Non fur gia mai si crudi, e si feroci,
Come i nemici miei presti, e veloci
Ad ingiuriarmi fur forti, e gagliardi.
Nè stocchi fur gia mai, quadrella, e dardi
Taglienti si, cosi pungenti, e atroci
Vers' huom, come de rei le false voci
Contra di me fur velenosi cardi.
Ma spenga il Ciel chi tien l'empio costume
D'odiar hoggi innocenza: & habbia il pregio
Del falso honor de le lingue bugiarde.
E dorma neghittoso fra le piume,
Ai buoni sempre in odio, & in dispregio,
Chiunque ha di bene oprar le voglie tarde.
SONETTO.
Questo fú scritto nel principio delle guerre di Fiandra, & sopra quel proposito.
GIa s'ode d'ogni'ntorno il suono horrendo
De le trombe nemiche: e'l fiero Marte
In sieme con Bellona irata han sparte
Semenze amare di dolor tremendo.
Ed vn, che piu gli scorge, in mano hauendo
Di Gian le chiaui insidiose, à parte
Vsa ogni industria, diligenza, ed arte,
Al sangue, ed al Furor le porte aprendo.
Cosi il tempio, che gia molti, e molti anni
Serrato fú per man de l'alma Astrea
Hoggi s'apre al romor de gli oricalchi.
A hi maladetto sia chi tanti danni
Proccura al mondo: che ben si potea
Viuer in pace, senz' altri diffalchi.
SONETTO.
Questo seguita il tenor dell' altro, & side scriuono gli atti del Furore, & di Marte, & di Bellona.
SCiolto è 'l Furore, e l'alte porte aperte
Son del tempio di Giano: e non è scuso
Huomo fra noi: che l'vn l'altro ha deluso:
Gioco del mondo, e l'opre habbiamo esperte.
Ira, impietà, timore, insidie certe
Lui seguon: poi Bellona per propio vso
La face ardente porta, e messo è giuso
Da lei chi donno fú, tanto peruerte.
Marte tirato da i cauai feroci
Armato tutto, crudo, crolla l'hasta:
E le negre ali spiega la ria fama.
Hor, chi di tanti mali pur le voci
Vdrà senza temerne? hor, chi richiama
La bella Astrea dal Ciel, vergine casta?
SONETTO.
Si duole del suo afflitto stato presente, & si ramarica del suo passato felice perduto.
SEtte, e sette anni per Rachel seruito
Hebbe Giacob, e pur al fin fú lieto;
Io corro à sette lustri, e non m'acqueto:
Forse è caso nel Ciel sú prefinito.
Duro destino, hor doue s' è fuggito
Mio bene? e perche amari frutti io mieto
Del mio gentil terreno? ó chi diuieto
Mi fá dal stato mio gia si fiorito?
Gia fú, ch' io vidi ritornar il Sole
Mio chiaro, e la mia Dea in bianca gonna
Risplender sopra i miei fertili campi.
Poi sparue, & ella seco: onde'si duole
Ogni anima gentile, e par, ch'auampi
D'ira de la caduta sua colonna.
SONETTO.
Questo fú scritto in Italia à M. Thomaso Porcacchi huomo assai conosciuto, & che conosceua gli affetti dell' amico.
QVa, doue la famosa fredda stella,
Che fé Giunon gelosa intorno gira:
Come piacque à colei, ch'ancor tiene ira
Tal, ch'essa in mar non bagna sua facella:
Mi stò guidando la mia nauicella,
S'alcun vento soaue in poppa spira;
E spero ben, s'ancor à se mitira
Colei, che splende à voi si illustre, e bella.
Voi, che fate, Signor? ditemi in tanto.
V'han sì però le Muse ad altrui tolto,
Ch'ogni memoria mia tegnate à schiuo?
O qual forza, ò destin proua hora tanto,
Che di vostre nouelle io resti priuo,
Per viuer sempre in graui dubbi inuolto?
SONETTO.
Si loda la virtù, la quale si dice esser vtilissima per il passaggio,
che noi douiamo far del mondo.
CHi vuol per questo stretto, e torto calle,
Ch'ha nome mondo caminar securo:
Di virtù s'armi, e all'hor glifia men duro
Lo spinoso sentier d'esta aspra valle.
Et come, che forse egli habbia alle spalle
Chi'l seguir voglia pe'l camino oscuro,
Poca fermezza haurà l'animo impuro,
S'à lui piu il Ciel, ch'altrui gratia non dalle.
Non Pilade, ed Oreste: non Theseo,
Ed Hercole: non Castore, e Polluce
Trouar fra noi possiam, come altri feo.
Inuidia, ed auaritia hoggi conduce
La schiera de i volgari: ahi secol reo,
Hor dou'è il tuo splendor, doue riluce?
SONETTO.
Si duole, che le fatiche della sua penna siano cosi state disprezzate, che in cambio di lode ei non habbia riceuuto altro, che silentio.
SEi miei pensier riuolti à l'altrui lode
N'han partorito qualche buono effetto,
Scriuendo d'alte Donne ogni concetto
Io dir no'lsò, nè verbo non se n'ode
L'inuidia ogn'hor d'altrui consuma, e rode
Ogni parte miglior del proprio affetto,
E l'auaritia lor si m'ha ristretto,
Ch'homai pur chiara ha fatta la sua frode.
Questo hora io prouo, o sacro Apollo, hor vedi
Qual frutto l'alme Muse in van chiamate
Han dalla penna mia prodotto al mondo.
Non Thersicor, non Calliope hor amate
Veder possian tra lance, & archi, e spiedi
Ma il mal nutrirsi, e'l ben cacciarsi in fondo.
CANZONE.
Si parla delle qualità d'vna gentil donna Italiana non maritata, & lodeuole per ogni ragion desiderabile ancora in qualunque altra, che nella consideratione humana possa auuenire.
STANZA PRIMA.
QVando l'alma mia Dea si tira in parte
Da noi tal'hor rimota:
Che scorger non si posson le sue stelle.
All'hor sen vanno sparte,
Espente restan l'altre cose belle,
Sin che volga sua rota
Io meco in tal bisogno mi consiglio,
Ed Amor chieggo aiuto,
Ch'al mio stato doglioso
Doni qualche riposo:
Ed ei benigno non mi fa rifiuto,
Ma quasi padre à figlio
Cotal porge conforto, e tal pensiero
Spirando, e detti non lungi dal vero.
STANZA SECONDA.
LE chiome d'or senz' arte à l'aura sparse,
Che fanno essere il Sole
Inuidioso ad ogn'hor di lor chiarezza:
Le vaghe guance, ou' arse
Mio cor nel rimirar tanta vaghezza
Di rose, e di viole:
E gli occhi doue Amor suo albergo tiene,
E i belli animi inuesca,
Le perle, e i bei robini
Immobili confini
Perche parola in vano indi non esca,
E quanto in se contiene
L'amato volto parmi hauer dauanti
Sempre, e i celesti suoi sacri sembianti.
STANZA TERZA.
DEl suo gentile, en' ver nobile aspetto,
E del suo aurato nome:
Ch'illustre veramente ogn'hor si mostra:
Con raro mio diletto,
Rimembro (dico) honor dell' età nostra,
Dolci soaui some.
La gola, ch'alla neue toglie il vanto,
E'l suo candido seno,
Oue tanta virtute
Alberga à mia salute,
Di contemplar gia mai non mi raffreno:
E se tal' hora alquanto
Mi dolgo, ogni dolor mi torna in gioia,
Poi, che del mio mirar punto s'annoia.
STANZA QVARTA.
MA se'l braccio honorato suo gentile
Stende ver me tal'hora:
E porge in vn per se cortese, e honesta
La man bianca, sottile:
Piu non temo io procella nè tempesta
Mentre tanto m'honora.
Poi quando al par mouendo il picciol piede
Parole alte, e prudenti
Scioglie meco, e risolue
Diuersi dubbi, e solue
Questioni ignote alle volgari genti:
Del suo valor fa fede,
E con arti eccellenti e'n nuoue lingue
Nostre prudenze giudica, e distingue.
STANZA QVINTA.
ESe poi nobilmente s' agia, e posa
Assisa in cerchio, doue
Mostri fra l'altre quanto il Ciel l'è grato,
Altera,
Altera, non si piglia per superba, ma perriguardeuole del grado suo.
e non ritrosa
Ben ci dimostra il suo celeste stato,
Con sue fattezze noue.
E come i membri suoi vaghi, ed honesti
Co i sensi ad alto intesi
Muoue fra l'altre intorno,
Si fa l'aere adorno:
Amor in tanto mille lacci ha tesi,
Forse ad alcun molesti,
Poscia, che quanto è bella è ancor pudica,
E sol di gloria, e di virtute amica.
STANZA SESTA.
EBene è il ver, che son sue qualetati
Qui degne d'alto honore,
Che raro dona il Ciel cotanta gratia,
Che i bei pensier celati
Si scorghin de i quai sol l'alma mia satia
Si tien per suo migliore.
Cosi quanto d'human si sente, e scorge
In lei miracol pare:
Nō s' accoglie tante. Questo è scambio del numerovsato bene spesso. Dante.
Ed è, che' non s' accoglie
Tante nobili spoglie
In altra donna, nè doti si chiare:
En' tal modo mi porge
Aiuto al bene oprar, ch' io non saprei
Condur dritti i miei giorni senza lei.
STANZA SETTIMA.
HOr s' ella al gran bisogno non fú schiua,
E'l graue sonno sciolse,
Che tenea st' alma adormentata, & mesta,
Ben' è ragion, ch'io scriua
La cagion, ond'hor l'è gioiosa, edesta,
E lodi lei, che'l volse.
E mentre il nome suo di gratie accolto
Vergo prefente Amore:
Mi par sua voce vdire,
Che m' accresca l'ardire,
Onde sorpreso dallo amato errore,
In me stesso raccolto,
Scaccio ogni tema, e pascomi di speme:
E tal'hor l'vno, e l'altro albergo in sieme.
STANZA VLTIMA.
CAnzon, s' alcun pur fia, che sap er cerchi
Chi dire hor mi fa forza:
E perche io verghi, e stracci
Tante carte, ed abbracci
Nuoua materia, di Donna lo sforza
Da i piu superni cerchi
Discesa, ch'hor gli asconde le sue luci,
Che per trarlo d' oblio gli furon Duci.
Seguita vn' altra Canzone detta per la colligation de i suoi versi Sestina, stata vsata alcune volte dal Petrarca, & dipendente da vn suggetto graue, & non punto leggieri, ancor, che intorno à gli accidenti d'Amore si troui ogni suo proposito come appresso si legge.
STANZA PRIMA DELLA SESTINA.
S'Alcuno ha fermo di condur sua vita
Per sterili compagne, horridi boschi,
Lungo torbidi riui fra gli scogli,
Come il suo rio destino, ò cruda voglia
Lo spinge à consumarsi nel suo pianto:
Questi d'ogni mio mal sarà conforto.
STANZA SECONDA.
LAsso, quanto son'io senza conforto
Andato gia cercando à la mia vita
Vna volta riposo, e dal mio pianto:
Cercando mari, e fiumi, e monti, e boschi,
Fuggendo del mio mal l'ardente voglia,
Nè trouat' ho gia mai, che nudi scogli?
STANZA TERZA.
SOn mie speranze vane, e sono scogli
Tutti i pensieri miei senza conforto,
Fondati sol nell'amorosa voglia,
E nel destino acerbo di mia vita:
Perch' io non esco de gli oscuri boschi,
Doue ho gia fatto vn lago col mio pianto.
STANZA QVARTA.
EPerch' io viuo à forza in mezo 'l pianto
Cotai sospiri io spargo, che gli scogli
S'incendon d'ogni intorno, e questi boschi
Senza lasciarmi hauer requie, ò conforto:
Da tai contrarij io son costretto in vita
Sconsolato restar contra mia voglia.
STANZA QVINTA.
VN aureo ramo può se Laura il voglia
Scacciar ancor da me la doglia, c'l pianto:
E render pace à la mia stanca vita,
E fermare i sospir, ch'ardon gli scogli:
Hor hauess' io dal suo splendor conforto,
Ond' io potessi vscir de i folti boschi.
STANZA SESTA.
ALtri non c'ha, che fuor de gli empi boschi
Scorger mi possa, e far queta mia voglia
E dar' al core homai qualche conforto:
Che bene ho troppo sospirato, e pianto,
Sin, che pietà ne viene anco à gli scogli,
Ch' io conduca dolente ogn' hor mia vita.
Canzon bench'io la vita intorti boschi
Meni, e fra scogli: quando il Cielo lo voglia,
Da Laura doppo il pianto haurò conforto.
Seguitano le tre breui Canzoni, quasi casi, ò capricci d'oggetti pur d'Amore: E per l'occasion di seruirsene per l'vso di Musica, come ad alcuna persona forse potrà piacere.
CANZONE PRIMA.
VIua speranza del mio cor conforto:
Dolce soaue fiamma,
Che'n mezo il petto desiando porto,
Non m' ancidete à torto:
Che bene assai per vso homai m'infiamma
Quel sacro almo splendore,
Che da i begli occhi vostri sparge Amore.
Tale splendor da gli occhi vostri scende,
S'auuien, ch' in quei rimiri,
In me, ch'à poco à poco mi distrugge:
Ma se fi parte, ò fugge
Altroue, de i bei giri
La rimembraza sol l'anima incende,
E come ella dentro arde, appar di fuori,
Com' ei conuien, ch' io v'ami, e ch'io v'adori.
CANZONE SECONDA.
FElice fiamma, che'l mio cor consumi,
Rodendo il tempo i giorni,
Amici in tanto, e lieti:
Nobili alteri lumi,
Che si m' empieste di pensieri adorni,
Ecco ei conuien, ch' io torni
Amor, ou'io m'acqueti:
Ch'in voi pace, e nel nome
Aurato trouo, e nel' aurate chiome.
CANZONE TERZA.
VAghi lucenti lumi
Homai ver me sereni:
Cortesi, e à tempo ignude, e bianche mani,
Ch' in atti dolci humani
Poneste al cor cosi soaui freni,
Chiari santi costumi,
Ch'albergate nel casto, e nobil petto,
Fra bianchi gigli, e rose,
Vera virtù d'angelico intelletto,
Gratie à voi rendo, e al Ciel, che vi dispose
A solleuarmi da le basse cose.
Hor per mostrar qualche variatione dei suggetti, ch' hanno seruito alla inclination propria alcuna volta della penna altrui: & à prolungar la memoria della bontà di qualunque creatura, che lasciando la terra si ritira con la parte migliore di se stessa al luogo superior d'onde l'era discesa: si scriuono alcuni pochi versi in dimostration del passaggio d'vna gentil donna di tali doti tra di noi stata conosciuta, che le molte lodi non punto riuscirebbero superflue à i meriti di lei di gia d'ogni singular bontà viuendoci adornata.
In morte della Signora Hester Pickarina VVoottona. Di Petruccio Vbaldino cittadin Fiorentino.
ALma chiara, e gentile al Ciel tornasti
Lasciando il corpo à i marmi:
E noi in dolore, en' pianto
Pe'l tuo partir rimasti
Cantar sforzati siam lugubri carmi.
Hor, che fia, che ne spiarmi
Dal nostro dolor tanto
Altro, che'l saper certo,
Che'l Cielo altuo ritorno ti fu aperto?
Angelica alma adunque in Cielo hor godi
Del Redentor la gratia,
E di tue opre il frutto,
Cagione hor de le lodi,
Ch'à te se'n danno: ed esso siringratia,
Che la tua voglia è satia
Si, che'n noi cessa il lutto
Douuto al tuo partire,
Ma non di tua bontà il giusto desire.
Hor poi, che spirto sei tra gli altri diui
Contempla il diuin volto,
Accio, che'l pregar nostro anch' ei non schiui.
In morte della medesima per il sepolchro.
QVi giace il corpo, l'alma al Cielo ascese
A i piè del Redentore, ond' ella vsciò,
Sua Gratia, sua virtù fuor d'ogni oblio
Rendran sue lodi eterne, & al mondo intese.
Hester qui giace della chiarissima famiglia Pickarina nata, & nella casa VVoottona congiunta. Dal Caualier Guglielmo suo padre riportò dote d'Illustre virtù d'animo. Et col Caualier Eduardo suo marito s' aquistò vna costante lode di Pudicitia: per riposarsi à i piedi del suo Saluatore doppo il fine della sua vita corporale.
Visse anni
⟨32.⟩ mesi.
⟨0▪⟩ & giorni.
⟨0.⟩
Ed. VVoot. marito congiuntissimo in memoria delle di lei virtù gratissimamente pose alle sue ossa la presente Tomba l'anno del Signor. 1592.
Hor perche in ogni persona di ciuil natura dotata, la quale doppo i moltiplicati trauagli delle passioni humane rimanga pur viuendo stracca di quelle: auuerra col mezo della diuina gratia, che ella riconoscendo se stessa, al suo Redentore al fine ricorrera per racquistar con l'humiltà propria quel tanto, che viuendo dietro à i proprij sensi la s' haueua perduto. Onde il medesimo auuenendo allo stesso presente scrittore, al sommo, & grande Iddio ricorrendo con i sussequenti versi ei rimostra humilmente ogni suo pentimento.
Si deplorano i proprij, vani, & desiderati affetti terreni, & si riuolta à Dio per il rimedio.
CAntai, hor piango i miei cercati mali,
Quai gia mi piacquer tāto, ahi cieco, e stolto:
E veggio ben, ch'in essi sono inuólto:
E ch'ambe due tarpate m'hanno l'ali.
Ma tu del Cielo, ò Rè, ch' à noi mortali
Ti sei ne i gran perigli sempre vólto:
Fammi da i nodi indegni hora mai sciolto,
Tú Padre, tu mio Dio, tú far lo vali.
Ben vedi com' ogn' hora erro, e vaneggio
Fuori de i tuoi sentier misero, e stanco
Per selue oscure, e perinculte valli.
E s'aspro prouo il mal, piu temo il peggio:
Afflitto piu d'ogni altro, e fatto bianco:
Deh tù Signor correggi i miei gran falli.
Si riconosce se stesso, si spera nel Signore: & si confessa la fede fondamento della speranza, che s' ha in lui.
PAdre, e Signor, non fia, ch' io pensi mai,
Che contro al seruo tuo sij tanto irato:
Ch' vguale sdegno al mio graue peccato
Vogli portar, per darme eterni guai.
Tu degno mi facesti de i tuoi rai:
Io folle, e stolto sommi allontanato
Da i tuoi precetti, ma non dis' armato
Di Fede, che per gratia ancor mi dai.
Che senza, io son ben certo, à me non vale
Ogni altro oprare, ó de gli error mia colpa
Dire innanzi di te per tempo alcuno.
Signor, sempre benigno, Terno, & vno:
M'affligge il mio nemico hoggi, e m' incolpa,
Deh trámi hora mai tu di tanto male.
Si deplora la libertà perduta, & fi richiede à Dio rimedio alla propria infelicità.
POscia, che di martir colmo, e d'affanni,
Mia dolce libertà da me fuggita
Lasciommi in quest bassa, indegna vita
D'amara seruitù ripiena, e d'anni:
Prouo dolente i miei presenti danni,
E piu temo i futuri: ed é sbandita
Dal cor la speme si, che sbigottita.
E l'alma in tutto pe'i frequenti inganni.
Ma tu Padre del Ciel, che l'vniuerso
Reggi, e gouerni, puoi solo ritrarmi
Da i martir, da gli affanni, e da la morte.
Dunque ver te diuoto, e humil conuerso
Ti prego: piacciati hor tuo aiuto darmi,
Per solleuarmi da l'empia mia sorte.
Mostra di contentarsi d'essere vscito d'alcuna seruitù, che piu lo premeua, che non l' honoraua.
ROtto, è spezzato è 'l graue giogo, ou'io
Hebbi mia alma molti anni delusa:
Hor sciolta, e libera, è non piu rinchiusa
Fra i rispetti empi, e nel costume rio.
Drizzala hor tu Signore, e Padre, e Dio
Si, che la via non le sia tolta, e chiusa
Di ritornar al Cielo, nè confusa
Resti, e sepolta nello eterno oblio.
E se l'vsanza scelerata, ed empia
L'ha fatta trauiar da te cotanto
Dietro à l'arbitrio senza freno, ò legge:
Scusala, ô Padre per quel sangue santo,
Che sparse il tuo figliuolo, e nel tuo gregge
Ritienla: en'lei tua gratia al fin s'adempia.
Desidera di ritornar co' i suoi pensieri nella via della salute.
DEh voglia il Ciel, ch' in questi vltimi giorni,
Doppo tanti anni rei passati, e vissi:
Quant' io mal feci, ahi lasso, e quant' io scrissi
Corregga, e fugga di Sathan gli scorni.
Gradisci, ô Padre, ô Dio, ch' io homai ritorni
Sotto 'l soaue giogo: e i pensier fissi
Da qui innanzi habbia in te sempre, e gli abissi
Apri di tua pietà senza soggiorni.
Vndici lustri, e la metà de l'altro
Son gia per via poi, che del mondo i danni
A pianger cominciai in fasce, e'n culla.
Nè di poi sin ad hor son fatto scaltro:
Se non, che i piacer nostri sono affanni,
E ch' ogni humano studio al fine è nulla.
SONETTO A DIO. Raccomanda à Dio la sua peregrinatione del mondo, assimigli andola ad vna naue, ch' habbia perduta la stella.
DEh se gia mai al Ciel salsero prieghi
Dinanzi à te Signor de l'vniuerso:
Riceui hor quei del tuo seruo disperso,
Si, che tua gratia al fin non mi si nieghi.
S'auuien, ch' io l'ampie vele al vento spieghi
De i miei vani pensieri: il vento auerso
Spinge la naue mia, ed à trauerso
La spezza, e non basta anchor, che la leghi.
E quel, che piu, m'aggraua, e mi spauenta
E, ch'io tua stella ho persa, od' ismarrita
In quest cupo mar pien di sospetro.
Però Tù, ch'à ciascun dai spirto, e vita,
Di sola vna parola, e fia contenta
Mia alma: e la mia naue haurà ricetto.